FRANCO BASAGLIA: IN RICORDO DEL MEDICO FILOSOFO

“Per lo psicotico 2 + 2 fanno indifferentemente 4, 6, 10, eccetera, a seconda del grado del suo rapporto con il reale; per il nevrotico 2 + 2 fanno 4, e il fatto gli provoca uno scoppio d’ansia per il suo instabile rapporto con il reale; per lo psicopatico 2 + 2 fanno sempre 4, ma ciò gli provoca sovente una rabbia antisociale “

“Noi matti – Dizionario della nuova psichiatria”  L’Espresso – Colore n. 12 del 21 marzo 1971

Anno 2024: 100 anni or sono (marzo 1924) nasce Franco Basaglia, a Venezia. Nel 1949 si laurea in Medicina e Chirurgia a Padova, dove nel 1952 consegue la specializzazione in Malattie nervose e mentali. Sono anni questi di pratica clinica, di studio, di pubblicazioni, scritti, relazioni, sono anni in cui la filosofia lo appassiona, la vede come concreta opportunità di maggiore conoscenza e comprensione dell’uomo, della società, della malattia mentale. Per questo suo interesse negli ambienti di lavoro viene soprannominato con discreta ironia il filosofo. Nel 1958 consegue la libera docenza in psichiatria e nel 1961 diviene direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia. Drammatico è per lui l’impatto con la durezza, la staticità, le contraddizioni e incongruenze della realtà manicomiale. Non senza difficoltà, tra contrapposizioni e scoramenti, prima al manicomio di Gorizia, poi all’Ospedale Psichiatrico di Colorno, infine al manicomio di Trieste procede il suo progetto di cambiare il modo di pensare e trattare il malato mentale. Cammino che porta il 13 maggio 1978 all’approvazione della legge 180 di riforma psichiatrica. La legge impone la chiusura dei manicomi, regolamenta il trattamento sanitario obbligatorio, istituisce i Servizi di igiene mentale pubblici. Grazie a lui, alla sua caparbietà, determinazione e lungimiranza l’Italia è il primo paese al mondo ad abolire gli ospedali psichiatrici. Nella primavera del 1980 si manifesta il tumore cerebrale che in breve tempo lo porterà alla morte. Aveva 56 anni.

Afferma Franco Basaglia: <<La società per dirsi civile dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia>>.
Vero. I manicomi erano di fatto luoghi dove i diversi venivano raccolti, reclusi, dimenticati perché i non diversi o normali potessero vivere senza la loro problematica, anche oscena, presenza. Se pensiamo la follia o pazzia come deviazione singolare, eccessiva, pericolosa dalla normalità dobbiamo chiederci, con mente oggettiva, cos’è normalità. La normalità non è una costante, è un’illusione. La nostra normalità non è, infatti, quella degli antichi greci e romani o quella che ci narra la storia a noi più prossima e non è neanche quella di altri paesi, anche a noi vicini. Alla fine è normale chi nel rapporto individuo – società segue le regole date alla collettività. Del resto l’uomo è consapevole di avere bisogno della collettività, altrimenti sarebbe il caos. Avendo, quindi, definita la normalità un’illusione la follia non può essere una sua deviazione. La follia è malattia, come qualsiasi malattia essa può guarire o non guarire, essere acuta,

cronica o recidivare. Perché allora verso di essa ancora oggi tanto fastidio, insofferenza, timore? Probabilmente perché essa è la malattia della coscienza e della mente. Ci turba intimamente e quasi inconsapevolmente avvertiamo che è assai sottile il velo che da essa ci protegge.
È il centenario della nascita di Franco Basaglia, altri proseguono il cammino da lui intrapreso, non c’è meta, solo lo scopo: curare. È così non solo per la psichiatria, ma per tutte le discipline mediche. Giunge quasi ovvia la domanda: cosa il medico filosofo penserebbe del nostro periodo storico, della nostra società, dell’uomo di oggi, della sua malattia mentale, ora definita disturbo? Da qualche anno la depressione, meglio disturbo depressivo, è la principale causa di disabilità a livello mondiale, malattia socialmente destrutturante, sembra aver superato tumori e patologie vascolari per frequenza. Anche i disturbi alimentari aumentano a vista d’occhio e poi i disturbi d’ansia e della personalità, riconducibili in certa misura e non tutti alle nevrosi di non molto tempo addietro. Patologie che esistono da sempre, esattamente come il raffreddore e la malattia tumorale, inusuale è il loro aumento e il coinvolgimento importante delle età giovanili.

La psichiatria ha come interesse le malattie della vita di relazione. Non va quindi confusa con la psicologia che ha come interesse la relazione dell’individuo con il suo ambiente e neanche con la sociologia perché, sebbene sia indiscutibile che l’uomo è un essere sociale e politico, non si può ricondurre la malattia della vita di relazione al sistema sociale di cui l’uomo è parte. Comunque non possiamo disconoscere che la malattia della vita di relazione o malattia mentale o disturbo psichiatrico possa essere favorita o dipendere in vario grado dall’ambiente e dalla società. Ambiente e società sono quei fattori di malattia che in altri ambiti medici vengono definiti scatenanti.

Sicuramente Franco Basaglia, ritornando alla domanda prima posta, ci inviterebbe a modificare senza indugi quegli aspetti dell’ambiente e della società che sono deleteri al benessere individuale e della collettività. Non si tratta più di chiudere i manicomi, di realizzare che il diverso è ognuno di noi, si tratta di realizzare che ognuno di noi ha nella vita e per la vita uno scopo, un buon scopo. Tempo fa una paziente anoressica ebbe a dirmi: <<Non sono il mio stomaco!>>. Non nutrirsi, porre l’alimentazione al centro del proprio vissuto non è un buon scopo, non è neanche uno scopo. Non lo è neanche dipendere dai social e dai media o seguire ottusamente falsi dei e miti che ormai abbondano nella nostra società.

15 aprile 2024