HIKIKOMORI: ECLISSI DELL’ANIMA

Nel 1998 il psichiatra giapponese Tamaki Saito coniò il termine “hikikomori” per indicare giovani individui che in modo estremo ed ostinato si isolano. Il termine nacque dalla fusione di due parole “hiku” e “komoru”, in italiano traducibili in “ritirarsi” e “stare per proprio conto”.
Gli hikikomori (hk) sono quasi sempre giovani maschi, l’età media è  20 anni, ma il disagio può manifestarsi intorno ai 15 anni. Si stima che gli hk di sesso femminile siano il 10% circa del totale, nelle donne il problema è solitamente meno strutturato e duraturo.
L’attendibilità del numero reale degli hk è scarsa, perché può accadere che la famiglia sminuisca o nasconda. Vi sono genitori afflitti da penosi sensi di colpa, altri da vergogna o timori, tendono, inoltre, a modificare abitudini e relazioni, vivendo in funzione del proprio figlio.

I giovani hk sono per lo più studenti capaci e le famiglie appartengono al ceto medio o alto. La malattia ha graduale progressione, finché l’intera loro vita finisce con lo scorrere tra le mura di una stanza, finestre oscurate, porta chiusa, fugaci i contatti, solo con i genitori. Di notte possono uscire dalla stanza, muoversi in casa o andare fuori per procurarsi da mangiare (fatto comune in Giappone). Trascorrono una notevole parte del loro tempo connessi a internet. È una dipendenza che non bisogna confondere con il disturbo da gioco su internet, condizione in cui vengono conservate relazioni e frequentazioni scolastiche e lavorative, anche se spesso in varia misura compromesse. Alcuni hk leggono, guardano film e si dedicano ad attività artistiche.
Il parametro diagnostico temporale, come è prassi in psichiatria, prevede la costante presenza del disturbo per almeno 6 mesi.

Nel quinto e ultimo DSM, testo di psicopatologia di rilevanza e riferimento mondiale, non viene fatta alcuna specifica menzione degli hk. Non è ignoranza: già dagli anni 80 essi sono conosciuti in Giappone e intorno agli anni 2000 risultano segnalati negli Stati Uniti e in Europa.
Osservando gli hk vediamo:

  • distacco (evitazione delle esperienze socio-emotive);
  • ritiro (scelta di restare da soli);
  • evitazione dell’intimità (rinuncia a significativi legami interpersonali e a relazioni sessuali);
  • anedonia (incapacità di trarre piacere, soddisfazione, intimo orgoglio, energia dalle esperienze della vita);
  • depressività (sensazione di scoramento, infelicità, mancanza di speranza, pessimismo, senso di colpa, vergogna, bassa autostima, pensieri o comportamenti suicidari).

Questi aspetti fanno pensare a disturbi di personalità, ma anche a fobie o depressione giovanile, essi vanno quindi interpretati e non assunti senza opportuno esame e valutazione.

Come detto, degli hk non vi è una collocazione diagnostica definita.
Il comportamento hk  è l’estrema manifestazione di un disagio esistenziale in crescita che coinvolge in modo prevalente giovani maschi benestanti delle società ricche.
È da ritenere che gli hk siano sempre esistiti, cioè non è una realtà recente, ma soltanto più conosciuta, documentata e in espansione.
Nella cultura giapponese è normalità che i giovani maschi benestanti debbano affermarsi negli studi e nel lavoro, può divenire hk chi non riesce a soddisfare le attese. Il senso di incapacità, di inadeguatezza e l’ansia che questi sentimenti generano spingono verso la solitudine. L’isolamento è la soluzione ingannevole, quasi come una dipendenza, si autoalimenta e peggiora. Fuori dalla stanza, grembo materno che rassicura, c’è una realtà che spaventa. È nella natura umana fuggire o affrontare ciò che fa paura. Gli hk sfuggono dalla realtà del mondo perché si sentono incapaci di viverla. Potremmo definire orbifobia (paura del mondo) questa condizione.
In Italia è possibile un’analoga interpretazione? Probabilmente si, anche se con sfumature diverse.
La donna è meno condizionata dalle pressioni famigliari e sociali, quindi è più serena, ma anche per sua natura più adattabile, tanto da essere in grado di competere efficacemente con l’uomo in termini di successo e affermazione.

I genitori hanno un ruolo preminente nel far uscire fuori il figlio da questo isolamento senza prospettive. È fondamentale parlare, anche attraverso la porta chiusa, senza scoraggiarsi, senza pretendere.
Il psicoterapeuta ha difficoltà perché non accettato, internet può aiutare. Il giovane, infatti, inizialmente, può aderire più facilmente ad un confronto virtuale, tuttavia successivamente è indispensabile incontrarsi. Non c’è nulla di più prolifico e utile del rapporto diretto tra terapeuta e paziente. È indispensabile non temporeggiare, meno precoce è l’intervento, più difficile è giungere alla risoluzione. La terapia farmacologica dovrà essere considerata caso per caso.
Saper cogliere il disagio del figlio nei suoi primi segnali consente dialogo, confronto, conoscenza dei problemi del figlio, percezione dei propri errori di genitori. Questo significa riformulare correttamente il rapporto genitori-figlio, cosa essenziale in questa società impersonale.

13 novembre 2022