ICTUS

Generalità
Le arterie o vasi arteriosi che portano il sangue ossigenato al cervello sono la carotide interna destra e sinistra (Fig.1) e la vertebrale destra e sinistra (Fig.1). Il circolo o poligono del Willis (Fig.1) è un sistema di vasi “ponte” tra le arterie del lato destro e quelle del lato sinistro, esso “regola” la distribuzione del sangue tra le diverse parti del cervello. Il cervello, che da solo consuma il 20% dell’ossigeno totale, nei neonati e nei lattanti fino al 50% e la cui funzione dipende dal metabolismo ossidativo dei carboidrati, nell’ adulto costituisce il 2% del peso corporeo. La portata circolatoria cerebrale (quantità di sangue che attraversa il cervello nell’unità di tempo) è di 54 ml/min./100gr, vicina a quella del fegato e inferiore soltanto a quella del cuore e dei reni. La pressione ematica cerebrale è uguale alla pressione arteriosa generale, ma è meno soggetta a sbalzi. A livello cerebrale un calo della pressione arteriosa è sopportato bene. Se la pressione si abbassa gradualmente anche valori intorno a 70mmHg di pressione massima sono tollerati. I danni da calo pressorio e concomitante ridotto apporto di ossigeno sono più severi nelle aree cerebrali periferiche (prati terminali). I danni si realizzano, inoltre, più velocemente in condizioni di ipertermia e più lentamente in caso di ipotermia.
L’ ictus o apoplessia o stroke è una sindrome caratterizzata dalla comparsa improvvisa di turbe neurologiche cerebrali dovute a patologie vascolari-circolatorie arteriose.

Fig.1: circolazione arteriosa cerebrale.

Distinguiamo:
1) Attacchi ischemici transitori (Transient Ischemic Attacks o TIA);
2) Ictus ischemico;
3) Ictus emorragico.
Ictus e TIA sono rari prima dei 50 anni di età, la loro incidenza aumenta con il trascorrere degli anni, dopo i 65 anni si ha il maggior numero. Nella donna sono meno frequenti (circa 30% in meno), sono, invece, più frequenti dopo gli 85 anni. L’ictus è, dopo tumori maligni e patologie cardiache, la causa più frequente di morte, importante il numero di invalidi cronici tra coloro che superano la malattia. Non è raro che alla TC/RM si evidenzino modeste aree cerebrali infartuate in soggetti che non hanno mai presentato disturbi (TIA o ictus) ed eseguano l’indagine per altri motivi. Si stima che almeno il 25% delle persone di età superiore a 80 anni abbiano avuto un ictus non sintomatico o silente.

TIA
Sono ictus ischemici transitori. Abitualmente i sintomi persistono meno di 1 ora, solitamente da 2 a 30 minuti. Possono regredire in un tempo superiore, tra 1 ora e 24 ore o oltre le 24 ore fino a 3 settimane, in questi casi alla RM si apprezzano spesso infarti (aree di morte di tessuto cerebrale). Se utilizziamo il “criterio di neuroimaging” non dovremmo considerare questi accidenti propriamente TIA, se usiamo il “criterio clinico”, cioè la regressione completa dei disturbi, si tratterebbe invece di TIA. Più opportunamente si potrebbero definire questi eventi attacchi ischemici reversibili o RIA (Reversible Ischemic Attack) o RIND (Reversible Ischemic Neurological Deficit).
La gran parte dei TIA è causata da emboli che giungono dalle carotidi e dalle vertebrali. L’ “embolo” è una formazione solitamente di materia organica proveniente da altra sede che, spinto dal flusso sanguigno, si blocca e ostruisce il vaso arterioso che per dimensioni non ne permette la progressione, così il territorio a valle dell’ostruzione va incontro a carenza di sangue e ossigeno (ischemia). Meno frequentemente i TIA riconoscono altre cause come compromissione del trasporto di ossigeno (anemia, avvelenamento da monossido di carbonio) o maggiore viscosità del sangue (policitemia). Raramente possono aversi in bambini con patologie cardiovascolari o ematocrito elevato e nella Sindrome da furto della succlavia (condizione in cui l’arteria succlavia compromessa “ruba” sangue alla carotide per deviarlo all’arto superiore durante sforzo).
I disturbi che si presentano in caso di TIA sono diversi, non tutti contemporaneamente presenti e diversamente associati, dipende dalla parte del cervello interessata.

Questi sono:

  • incompleta o modesta paralisi unilaterale (emiparesi);
  • imperfetta articolazione del linguaggio (disartria);
  • cecità di un solo occhio (amaurosi unilaterale);
  • movimenti scoordinati (atassia);
  • visione ridotta o cecità che riguarda solo una parte di un occhio (emianopsia unilaterale);
  • deficit sensitivi da un sol lato, come anestesia (emianestesia sensoriale);
  • disturbo dell’orientamento e dell’attenzione (neglect).

I pazienti possono avere più TIA in un lasso di tempo breve, anche nello stesso giorno o solo pochi episodi (2-3) nel corso di diversi anni.
Aura emicranica, crisi ipoglicemica, paralisi di Todd (nella epilessia) e altre condizioni possono simulare un TIA. TC e RM sono necessari. Le cause del TIA vanno ricercate (fibrillazione atriale, stenosi arteriosa, fonti di emboli, alterazioni del sangue) così come eventuali fattori di rischio.
La terapia prevede l’impiego di antiaggreganti e statine, in alcuni pazienti endoarterectomia carotidea o angioplastica e stent. Nella eventualità che gli emboli giungano dal cuore terapia anticoagulante. Vanno, infine, corretti quei fattori di rischio modificabili.

Ictus ischemico
Costituiscono l’80% degli ictus. Sono causati quasi sempre da trombi o emboli. I trombi, diversamente dagli emboli, chiudono il vaso nel punto in cui si formano. Si hanno in arterie aterosclerotiche o infiammate (vasculiti), in caso di ipercoagulabilità o iperviscosità ematica, in malattie rare come la malattia moyamoya (su base genetica, comporta la progressiva occlusione dei vasi per ispessimento della parete), la malattia di Binswanger (aterosclerosi ostruttiva delle arterie sottocorticali che realizza tipicamente “lentezza psicomotoria”) e la displasia fibromuscolare (stenosi/occlusione delle arterie cerebrali che interessa donne tra i 40-60 anni, di causa non nota, coinvolge anche le arterie addominali e iliache). Nei bambini con anemia falciforme l’ictus ostruttivo non è raro. Gli emboli giungono al capo staccandosi da trombi che hanno sede nel cuore in caso di fibrillazione atriale, endocardite, cardiopatia reumatica, protesi valvolari. Possono giungere anche da aree aterosclerotiche dei vasi del collo e dell’aorta. Possono essere emboli grassosi in caso di fratture delle ossa lunghe o emboli d’aria nella malattia da decompressione. Raramente l’ictus ischemico è il risultato di un vasospasmo (chiusura da “contrazione” delle pareti arteriose), per esempio a seguito di una severa emicrania o da assunzione di cocaina e anfetamine. Altre cause sono l’occlusione da lipoialinosi delle arterie profonde cerebrali (ictus lacunari), l’intossicazione da monossido di carbonio e l’anemia grave.
Nell’ictus ischemico embolico i deficit neurologici raggiungono di regola la massima espressività rapidamente (pochi minuti), in quello trombotico possono impiegare un tempo maggiore. Solitamente l’ictus embolico si presenta nel corso della giornata, quello trombotico al risveglio poiché il trombo si forma nella notte.
Come per i TIA, i sintomi dipendono dall’area cerebrale compromessa e sono gli stessi, persistenti, magari più incisivi (emiplegia cioè paralisi di un lato del corpo, piuttosto che emiparesi). All’insorgenza dell’ictus possono aversi a volte convulsioni o cefalea.
Se il danno non è particolarmente esteso o intenso vi è un miglioramento nei giorni che seguono e progressivamente fino a 1 anno.
In caso di ictus lacunari la sintomatologia tende ad essere monosintomatica, per esempio solo emiparesi o solo emianestesia, se gli infarti lacunari sono diversi è possibile l’evoluzione verso la demenza.
La diagnosi richiede TC e RM (quella pesata in diffusione è in grado di evidenziare il danno ischemico precocemente), valutazione clinica (cefalea-nausea-vomito-perdita di coscienza più frequenti nell’ictus emorragico), individuazione di cause e fattori di rischio.
Il trattamento è articolato e personalizzato poiché sono diversi i fattori da considerare. La prognosi è difficile da definire sull’immediato, anche se età avanzata e una valutazione del livello di coscienza sfavorevole suggeriscono una prognosi infausta.
Si stima che circa il 50% dei pazienti che superano l’ictus alla fine riesce ad avere abbastanza cura di sé e svolgere attività giornaliere di base, camminare e/o usare gli arti superiori, magari parzialmente o con ausili. Si stima, infine, che intorno al 10% dei soggetti abbia un recupero completo, sono questi i casi che abbiamo già definito RIA o RIND.

Ictus emorragico
Condizione in cui vi è spandimento ematico in seno al tessuto nervoso. Meno frequente dell’ictus ischemico (20%), ha una mortalità precoce e fino a 30 giorni dall’evento alta, quella complessiva si stima superiore al 40%. Il 50% circa di coloro che sopravvivono presentano invalidità permanente più o meno grave. Causa frequente è l’ipertensione arteriosa che provoca la rottura di un vaso arterioso, sovente aterosclerotico.  Altre cause di rottura, eventualmente favorita da sollecitazioni pressorie, sono l’angiopatia amiloide, gli aneurismi(dilatazioni focali della parete vascolare, a volte congenite), le malformazioni artero-venose. L’ictus emorragico può “complicare” tumori primitivi o metastasi cerebrali, essere dovuto a traumi o far seguito a un ictus ischemico. Situazioni come malattie del sangue, terapia anticoagulante eccessiva o vasculiti possono indurre emorragia in assenza di rotture vasali. Questo perché i vasi sanguigni sono strutture permeabili, “membrane” in equilibrio dinamico tra ambiente intra-vascolare ed extra-vascolare. Alterazioni patologiche o terapeutiche di tale equilibrio possono indurre disfunzioni quali appunto un’emorragia.
L’evento emorragico può manifestarsi in concomitanza di pasto copioso, attività fisica, forte emozione, esposizione improvvida al sole. La cefalea è frequente (tipicamente immediatamente molto intensa e penosa in caso di localizzazione subaracnoidea). Possono aversi nausea, vomito, convulsioni, perdita di coscienza, turbe del respiro, deviazione del capo e degli occhi verso un lato, alterazioni del tono muscolare, emiplegia, emianopsia, disartria, disfagia. In alcuni pazienti i disturbi non sono così drammatici perché l’emorragia è meno estesa e distruttiva. Chi supera la fase critica va incontro ad una attenuazione progressiva dei sintomi man mano che il sangue stravasato viene riassorbito.
Sono subito necessari TC/RM, se si sospetta una emorragia subaracnoidea necessaria la puntura lombare. La terapia prevede misure di supporto, a volte evacuazione chirurgica. In caso di rottura aneurismatica si attua occlusione procedendo per via endovascolare o intervento chirurgico. Farmaci anticoagulanti e antiaggreganti sono controindicati. Il controllo della pressione arteriosa sarà attento e costantemente monitorato.

Fattori di rischio
Pe la sua rilevanza consideriamo la sola aterosclerosi. Questa è quella forma di arteriosclerosi (condizione universale di invecchiamento arterioso) causa assolutamente prevalente di patologie delle coronarie ecerebrovascolari.

L’aterosclerosi è favorita da:

  • dislipidemie;
  • diabete mellito;
  • ipertensione;
  • fumo di tabacco;
  • infiammazioni sistemiche a carattere cronico o ricorrente;
  • obesità;
  • malattie pro-coagulative;
  • radioterapia;
  • fattori psico-sociali (disturbi d’ansia e di personalità, depressione, lavoro, stato socio-economico).

La placca aterosclerotica è l’elemento caratterizzante dell’aterosclerosi, essa è formata da cellule infiammatorie, lipidi, cellule muscolari, fibrosi. Se la placca si rompe inizia la formazione del trombo, questo può chiudere il vaso arterioso (trombosi) o dare origine a emboli.

La prevenzione dell’aterosclerosi prevede:

  • meno grassi saturi;
  • meno carboidrati raffinati;
  • più frutta e verdura;
  • attività fisica (sufficienti 30-45 minuti di cammino 3-4 volte/settimana);
  • uva rossa e nera-vino rosso- birra scura-tè nero per la presenza di flavonoidi;
  • alcol per le sue proprietà antitrombotiche, antiossidanti e forse antinfiammatorie.

L’alcol (vino, birra, liquori) può causare gravi problemi di salute, pertanto i medici sono riluttanti a raccomandare una sua assunzione poiché non vi è certezza di un suo consumo corretto.
Non vi sono evidenze convincenti che l’impiego di integratori a base di vitamine, di prodotti erboristici, di oligoelementi minerali comportino un minor rischio aterosclerotico. Prodotti dietetici, sempre più popolari, non apportano benefici o addirittura possono essere nocivi.

9 gennaio 2024