L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL MATERIALISMO MODERNO PARTE I: IL TRIONFO DEL DEMONE DI LAPLACE (sec. XIX).

“Dubium sapientae initium”

(Renè Descartes).

Non è facile fare della divulgazione scientifica, specialmente per un “dilettante allo sbaraglio” come me. Non è facile scrivere usando i giusti termini e soprattutto sintetizzare e rendere digeribili dei concetti che non lo sono affatto. Ciò nonostante ho finalmente ceduto alle insistenze del Web Master ed eccomi qui a scrivere di nuovo di fisica quantistica e delle sue ricadute in termini filosofici e teologici. Questa volta però, per completezza e chiarezza, ritengo doveroso fare un excursus sulla fisica degli ultimi secoli suddividendolo, per semplicità, nelle tre parti appresso riportate, proprio come nelle serie televisive:

  • PARTE I: LI TRIONFO DEL DEMONE DI LAPLACE (sec. XIX);
  • PARTE II: LA CADUTA DEGLI DEI (sec. XX);
  • PARTE III: IL RITORNO DEL DEMONE (sec. XXI).

UNA RIVOLUZIONE CULTURALE OLTRE CHE SCIENTIFICA

Nell’Esposizione del suo saggio sulla Sincronicità come principio di nessi acausali, edito nel 1952 ed incluso in un volume intitolato Psiche e Natura (“Naturerklärung und Psyche” – mente e materia) , comprendente una monografia del premio Nobel per la fisica Wolfgang Pauli (1900-58), C.J. JUNG esordisce così: «I risultati conseguiti dalla fisica moderna hanno provocato, com’è noto, un mutamento significativo della nostra immagine scientifica del mondo: essi hanno scosso la validità assoluta delle leggi naturali e l’hanno trasformata in una validità relativa. Le leggi naturali sono verità statistiche, cioè sono per così dire interamente valide soltanto quando si tratta di grandezze macrofisiche. Nella sfera di grandezze minime invece predire ciò che avverrà diventa incerto o impossibile, poiché grandezze molto piccole non si comportano più in modo conforme alle leggi naturali conosciute.»

I risultati conseguiti dalla fisica moderna hanno scosso la validità assoluta delle leggi naturali, un autentico terremoto, quindi…Si potrebbe pensare, che il noto psichiatra, proprio in quanto tale, abbia enfatizzato il concetto, ma non è così. Da un’attenta disamina delle scoperte delle varie discipline scientifiche che si sono susseguite nel corso del secolo scorso
emerge chiaramente la portata rivoluzionaria delle stesse, non solo rispetto alle conoscenze conseguite dei secoli precedenti, ma anche relativamente alla stessa base culturale dell’umanità da cui derivano cognizioni, convinzioni, modi di pensare, di essere e di fare.

Inspiegabilmente però, nonostante la quasi totalità degli scienziati e studiosi sia ben consapevole di questa rivoluzione, la stessa non è stata resa nota alla gente comune, alla quale viene “concesso” soltanto di usufruire del progresso tecnico, tecnologico ed informatico che ne scaturisce.

In altre parole: tecnologia sì, conoscenza no.
Ed è ben noto che la scienza è sempre buona poiché mira all’ampliamento e all’approfondimento della conoscenza e, in ultima analisi, alla ricerca della verità. Mentre la tecnologia, che si “nutre” delle scoperte scientifiche applicandole alla vita quotidiana, può essere buona o cattiva a seconda degli scopi (vedi “Intelligenza Artificiale: fermate ChatGpt” pubblicato li 26/04/2023).

Ma di quale rivoluzione si sta parlando? Per comprendere davvero la portata di una rivoluzione occorre partire dallo “status quo ante bellum” e quindi non possiamo fare a meno di dare uno sguardo alla fisica del XIX secolo.

LA FISICA DEL XIX SECOLO

Ognuno di noi ha i propri demoni con i quali, prima o poi, è chiamato a fare i conti. Questo semplice assunto, oltre che per gli essere umani, sembra valere anche per le nostre conoscenze. A fine ottocento con il perfezionamento della meccanica newtoniana, la formulazione dei tre principi della termodinamica e della teoria dell’elettromagnetismo di Maxwell, si riteneva di aver scoperto quasi tutto. Rimanevano solo pochi dettagli da spiegare: l’uomo non aveva bisogno di nessuno al di fuori di sé stesso.

La concezione del mondo fisico era tutta improntata sul meccanicismo deterministico assoluto e sul materialismo più radicale. Lo spirito del tempo si incarnava alla perfezione nel Demone di Laplace. Pierre-Simon de Laplace (1749-1827) astronomo, fisico e matematico, era uno dei massimi scienziati francesi dell’epoca napoleonica. Fortemente legato ad una concezione laica e anticlericale del mondo cercò di eliminare l’idea di un Dio creatore dell’universo, mettendo al suo posto un caos originario, da cui avrebbero preso forma gli oggetti celesti.

Nell’introduzione al suo Saggio filosofico sulle probabilità, del 1814, riprendendo un’idea di Gottfried Leibniz (1646-1716), scrisse:

«Possiamo considerare lo stato presente dell’universo come l’effetto del suo passato e la causa del suo futuro. Un intelletto che, in un istante dato, conoscesse tutte le forze che mettono in moto la natura e tutte le posizioni degli elementi di cui la natura è composta, se questo intelletto fosse anche abbastanza elevato da sottoporre questi dati all’analisi, racchiuderebbe in un’unica formula i moti dei corpi più grandi dell’universo e quelli del più piccolo atomo; per un tale intelletto nulla sarebbe incerto e l’avvenire proprio come il passato sarebbe presente davanti ai suoi occhi».

Pierre Simon Laplace (1749 – 1827)

Nel suo noto esperimento mentale, Laplace ipotizzò, quindi, una super intelligenza (il Demone, appunto) in grado di raccogliere e processare istantaneamente un’enorme quantità di informazioni e di prevedere il futuro di ogni cosa nell’universo.

Ecco il “verbo” del determinismo assoluto: l’universo, in perfetto accordo con il principio di causalità, era visto come un’enorme e sterile macchina che va degradando senza possibilità di ritorno, come prevede il secondo principio della termodinamica (l’irriversibile aumento dell’entropia decreta la cessazione finale di ogni forma di moto e scambio energetico e, quindi, la morte dell’universo).

Dal punto di visto filosofico e teologico, ne conseguiva che:

  • la presenza di Dio, ammettendo che ne esistesse uno, era del tutto superflua, visto che comunque non aveva possibilità di intervenire;
  • era impossibile sostenere sia il libero arbitrio dell’uomo, sia l’agire creativo e provvidenziale da parte di Dio;
  • la degenerazione dell’universo, presupponeva che se Dio ci fosse, sarebbe maligno, visto che ha creato qualcosa solo per il gusto di vederla autodistruggersi.

Si riconosceva come scientifica la ricerca delle cause, mentre si respingeva come puramente fideistica la possibilità che qualcosa potesse spiegarsi con l’individuazione di un fine da raggiungere: cioè che un evento, oltre ad essere prodotto da una causa, si verificasse in vista di qualche obiettivo futuro.

Come a dire: se c’è una causa non occorre Dio, è sufficiente interpellare la scienza, mentre se c’è un fine allora la questione non riguarda più la scienza e si entra nel becero fideismo, che nulla a che fare con la splendida realtà scientifica dell’illuminismo, i cui effetti si sentivano forti e chiari ancora nel XIX secolo.

È inutile dire che il materialismo, secondo il quale tutto l’esistente è riconducibile alla materia in quanto principio fondamentale dell’universo, dilagava in ogni dove. Gli atomi erano particelle solide ed indivisibili, proprio come ipotizzato da Democrito. La materia qualcosa di inerte, sorda e muta, come piaceva tanto ai negatori dello spirito. L’universo era visto come un’accozzaglia di monadi ciascuna chiusa in sé stessa.

CONCLUSIONI
Proprio come nella parabola del ricco stolto, l’euforia intellettuale del tempo e l’arroganza di alcuni (esistevano pur sempre dei fenomeni che la fisica classica non riusciva in alcun modo a spiegare) avevano vita breve: l’avvento della meccanica quantistica e la teoria dei sistemi complessi avrebbero, di lì a breve, smosso le presunte basi scientifiche del determinismo meccanicistico. L’intero edificio stava per crollare.
Ma questa è un’altra storia.

Ivan G. Solano

10 settembre 2024