Questa è una breve riflessione sull’uomo, personale e criticabile, scaturita dall’osservazione della realtà circostante e non dallo studio dei testi di antropologia.
Ho notato che molte persone non si chiedono il “perché” degli avvenimenti che le coinvolgono per via diretta o indiretta e che vi è una certa dose di fiducia nei confronti di quello che viene proposto loro dall’alto. Manca il tempo o la voglia di informarsi in prima persona, di sentire un parere alternativo o, meglio, di costruirsi un proprio parere, cosa peraltro rischiosa per la possibilità di entrare in contrasto con l’opinione pubblica.
Diventa automatico quindi delegare molte scelte e ciò può avvenire per molti aspetti della vita: il tipo di educazione e di istruzione, la salute, il lavoro, il tipo di alimentazione e i consumi. Prendere consapevolezza di questo è il primo passo per un processo di autodeterminazione. L’autodeterminazione è l’atto con cui l’uomo si determina secondo la propria legge, indipendentemente da cause che non sono in suo potere: tuttavia, l’espressione di questa libertà non è così semplice da ottenere e richiede una buona dose di forza di volontà.
Innanzitutto, si dovrebbe cominciare mettendo in dubbio le consuetudini che si adottano per vivere, comprese quelle certezze che ci circondano e confortano e capire se sono realmente necessarie oppure sono solamente un compromesso che abbiamo costruito attorno a noi per sopravvivere nella società. In questo modo ci distaccheremmo dalle convenzioni e da certi paradigmi che ci hanno resi più inerti e manipolabili; tuttavia, dato che l’indottrinamento parte dall’infanzia, risulterebbe complicato abbandonare quei modelli di comportamento e di pensiero che in modo indiretto sono entrati a far parte di noi attraverso la scuola, la famiglia, gli amici e che sono influenzati dal contesto sociale di appartenenza.
Un primo passo in questa direzione è il tenere in considerazione un grosso rischio che affligge la nostra società e che chiamerò “propaganda”. Viviamo in un mondo sempre più interconnesso e frenetico, dove milioni di informazioni entrano nella nostra vita attraverso televisione, radio, computer e cellulari: nemmeno uscendo di casa veniamo risparmiati da insegne luminose e spot pubblicitari sulle vetrine dei negozi e alle fermate degli autobus. Essendo costantemente sottoposti all’influsso dei media, il libero giudizio e il senso critico vengono intaccati senza riguardo e la coscienza si assopisce dietro un’informazione spesso vuota e fasulla.
L’informazione dà risposte preconfezionate e non domande che possano innescare un ragionamento: in fin dei conti il suo compito è quello di offrirci un modello di pensiero da adottare, magari dandoci l’illusione di esserci creati un’opinione. Con buona probabilità, nella totale ingenuità e inconsapevolezza, daremo luogo ad uno stile di vita viziato appunto dalla propaganda.
Concludo così il mio ragionamento: chi controlla l’informazione ha forse il più grande potere esistente al mondo, ovvero il controllo sociale.
Paolo Bevilacqua