SULLA MORTE: RIFLESSIONI

Scrivendo della morte Sigmund Freud mutò l’antico detto “se vuoi la pace, prepara la guerra (si vis pacem, para bellum)” in “se vuoi la vita, prepara la morte (si vis vitam, para mortem)”. Secondo il geniale medico austriaco prepararsi alla morte, pensarla e non ignorarla, è utile alla vita. È davvero così? Così facendo saremmo più consapevoli, responsabili, felici? Siamo forse cambiati perché “costretti” a pensare alla morte dalla pandemia da CoV2 e dal conflitto russo-ucraino, a noi così vicino? Non sembra. Anzi il mondo civile oggi si prodiga di più ad alzare barriere contro ciò che disturba, non è conforme, è diverso.
La morte inflitta dal virus e quella inflitta dall’uomo hanno indotto reazioni diverse da quelle che forse ci si aspettava. La morte degli altri ci sfiora appena o affatto, la nostra la ignoriamo, almeno fino a quando la malattia grave ci induce a considerarla, quella degli amici e dei famigliari può farci soffrire davvero o lasciarci indifferenti, ma per costume addolorati e partecipi.

E la religione? Fin da quando l’uomo ha alzato gli occhi al cielo e ha mosso i primi incerti passi sulla terra ha creduto. Ha adorato le “forze della natura” in principio, “molti dei” poi e infine “un solo dio”. È cosa comune delle religioni affermare che da qualche parte qualcosa ci attende, dove vivere oltre questo spazio temporale tra concepimento e morte. Vivere, tuttavia, oltre la morte e nella grazia divina è un premio che si ha seguendo precetti e comandamenti. Diversi di coloro che si dicono credenti palesemente non ottemperano a tali precetti e comandamenti. Per costoro probabilmente è bastevole soltanto professarsi credenti per “passare oltre” o la religione è soltanto un’illusione utile al cammino terreno e agli inevitabili suoi inciampi.

La morte può essere data ad altri o a se stessi. In assenza di follia o di personali motivi in guerra si uccide. La storia, con i suoi eroi, è una lunga scia di morte, che cesserà con la fine della vita umana sulla terra. Arduo pensare il contrario.
La depressione, dai molti volti, è sovente causa di suicidio. C’è, poi, un suicidio più segreto, lento, rituale, più comune tra i giovani, quello del punirsi, della sfida, dell’imitazione, della fuga e dell’evitazione. Del “disagio giovanile” si scrive e parla molto, ma per contrastarlo poco si fa.

È singolare l’atteggiamento che adottiamo nei confronti di una persona morta. Abitualmente evitiamo ogni critica nei suoi confronti, ne lodiamo i comportamenti, individuiamo perfino qualità che non gli appartenevano. Ancora più singolare, se si vuole, è il comportamento di quei famigliari che con il defunto avevano rotto ogni rapporto e di lui dicevano gran male. Sono presenti al funerale in grande gramaglia. Perché? Senza incertezza è la convenzione sociale che induce questi comportamenti, si può pensare, in certa misura, anche a superstizione. Il bambino è diverso, dolente per la morte della persona cara, considera il fatto come un evento del tutto naturale e nessun orpello lo condiziona.

Rudi Westendorp dell’Università di Leida afferma: ”Nell’arco di un secolo l’aspettativa di vita è salita da 40 a 80 anni e la probabilità di raggiungere i 65 anni è passata dal 30 al 90%. Chi nasce adesso (anno 2023) arriverà a 135 anni”. Un poco ardita la sua previsione della futura longevità; certamente si vivrà di più, se non interverranno sovvertimenti e imprevisti. Questo nei paesi ricchi, il resto del mondo può attendere!
La scrittrice Susan Ertz afferma: ”Milioni di persone che desiderano l’immortalità non sanno che fare in una piovosa domenica pomeriggio”. È forse il momento di imparare. In una piovosa domenica pomeriggio si può, per esempio, anche semplicemente ascoltare il suono della pioggia che batte sui vetri, guardare il grigio del cielo e i tetti umidi, annusare l’odore di muschio nell’aria. Percepire, insomma, le cose intorno che nell’abituale vivere sembrano quasi non esistere.
E i giovani di oggi, i molti anni di vita che li attendono? Indubbiamente sono tempi di significativi cambiamenti in ambito sociale, lavorativo, culturale. Tecnologia e comunicazione configurano scenari prima impensabili. Diversi, persino governi ed istituzioni, frenano questi tempi, li guardano con sospetto e diffidenza, se non con dileggio. Non vengono, poi, lasciati i giusti spazi alle giovani generazioni che di essi dovrebbero essere i principali protagonisti. È possibile che alcuni atteggiamenti dei giovani (sballo, droga, violenza, indifferenza, rassegnazione, depressione, ansia, dipendenza dai media) siano la conseguenza del sentirsi esclusi, non motivati: ali tarpate al momento di prendere il volo.
Cosa ne è della proverbiale saggezza degli adulti? Essi si lamentano della fatica del vivere. Un’abitudine quasi, se incapaci di apportare anche solo piccoli cambiamenti nella loro vita. Incongruenza, pregiudizi, discriminazioni, invidie abbondano tra loro.
Si ha la sensazione che questo nostro mondo possa implodere in un prossimo futuro, se non intervengono cambiamenti sostanziali.

Leggendo quanto fin qui scritto, anche in contrapposizione, quali conclusioni la mente suggerisce? La morte è in realtà presenza costante nel nostro vivere: rimossa, esorcizzata, a volte sfidata, a volte cercata.
Norman O. Brown, teorico di psicanalisi, ci dice che amore è toglimento di morte. Non c’è, quindi, morte se c’è amore. Se soltanto per un momento lasciassimo che la mente senza infingimenti elabori questa affermazione, ci renderemmo improvvisamente conto di quanta verità ci sia in essa.

Silvestro A. Bevilacqua

L’indole dell’uomo è di non pensare alla morte. Di “cercare” di ignorarla. Tuttavia la paura della morte e l’incertezza su ciò che accade dopo la vita rimangono comuni.

Per quanto riguarda le varie religioni, lo dico da agnostico, hanno offerto diverse prospettive sulla morte e sulla possibilità di una vita eterna o di un’esperienza trascendente. Come nel campo di marketing hanno in pratica offerto una risposta alla domanda del pubblico.

Nell’articolo viene citato anche il suicidio per depressione, ma non viene trattato un tema estremamente attuale quale il suicidio assistito. L’eutanasia. L’avanzamento della scienza e della medicina ha reso infatti possibile estendere la durata della vita, ma allo stesso tempo ha portato a una maggiore riflessione sulla qualità di vita e sulla dignità nell’affrontare la fine della vita. Questo mi accende una riflessione ulteriore. Ovvero che l’uomo non abbia paura della morte, ma dell’attesa di essa.

Chiudo con una citazione di Woody Allen, celebre ipocondriaco, che spesso ha affrontato con sarcasmo il tema della morte: “Non è che ho paura di morire. È che non vorrei essere lì quando succede”.

Massimiliano C.

24 luglio 2023