UNO SGUARDO ALL’ANORESSIA NERVOSA (AN)

Gli stati motivazionali, come fame e dolore, organizzano il comportamento in maniera tale da garantire la sopravvivenza. Gli esseri umani sono gli unici animali che possono ignorare tali segnali e si lasciano, per esempio, morire di fame. Le ragioni di ciò sono in parte guidate dal significato che le persone associano alla restrizione volontaria.

L’idea che vincere gli stati motivazionali sia in qualche modo virtuoso è profondamente incastonata nella psiche umana. Stando ai primi racconti di digiuno auto-imposto, le donne che si negavano il cibo erano considerate pure, sante e dotate di un dono inviato da Dio. Quando la società iniziò a vedere il fenomeno da un punto di vista laico, l’idea che dominare gli impulsi o i bisogni biologici fosse una virtù rimase un aspetto della vita tenuto in grande considerazione.

Riconoscere tale realtà è essenziale per comprendere la fenomenologia dell’AN. L’estrema restrizione alimentare, pur essendo distruttiva, evoca forti sensazioni di efficacia, padronanza e orgoglio. Ciò appare in netto contrasto con la maggior parte delle altre condizioni di alterata salute mentale in cui i comportamenti caratteristici possono dare sollievo, ma non rendono l’individuo particolarmente fiero di sé stesso. Consideriamo l’esempio della fobia sociale: i soggetti che sperimentano fortissima ansia nelle situazioni sociali provano sollievo nell’evitarle, ma non si sentono particolarmente orgogliosi di tale comportamento. Si sentono solitamente inefficaci e provano vergogna per le loro difficoltà.

La capacità di ignorare la fame è inoltre altamente visibile e quindi capace di assolvere funzioni sociali, consolidando lo status dell’individuo e spesso influenzando il comportamento delle altre persone. Gli individui con AN frequentemente dicono di ricevere complimenti, attenzione, cura e altri benefici sociali, pertanto si sentono delle persone brave o migliori e il loro comportamento viene rafforzato dall’ambiente. Prese assieme queste contingenze immediate e di forte carica emotiva sono spesso molto più persuasive delle conseguenze negative differite provocate dal sottopeso.

Benché l’AN possa essere guidata inizialmente da fattori psicologici, essa può persistere a causa dell’enorme impatto dell’inedia sul cervello e sul corpo. Il digiuno genera digiuno perché la denutrizione compromette la capacità dell’individuo di cambiare rotta. Le persone, impoverite dal punto di vista nutritivo, mostrano difficoltà nel ragionamento, faticano a spostare l’attenzione in modo flessibile ed adattare il comportamento alle contingenze che cambiano, esibendo una maggiore rigidità e ossessione. L’attenzione si restringe sul cibo e l’individuo sperimenta meno interesse e piacere nelle interazioni sociali o in altre attività. Per questo motivo, il mondo diventa sempre più centrato sul prossimo pasto, gli stimoli della fame e le componenti somatiche delle emozioni, inizialmente intensificate dalla limitata assunzione di cibo, si ammutoliscono. Diventa pertanto più difficile conoscere e rispondere alle esigenze fisiche ed emotive. La mente dà un senso all’esperienza dell’individuo: la quiete del corpo è interpretata come “maggior controllo”. I fattori iniziali che hanno contribuito all’insorgenza dei comportamenti di AN si uniscono ai cambiamenti biologici e psicologici che consolidano ulteriormente l’individuo nella patologia.

Sebbene spesso l’AN venga considerata una strategia di regolazione patologica del peso, guidata da una visione distorta del corpo, è possibile ricondurre questo disturbo a una cornice più ampia che considera l’aspetto di una auto-regolazione punitiva. In altre parole, ciò che guida il comportamento di restrizione alimentare e controllo del peso, così come di tanti altri aspetti di vita, è il modo in cui le persone parlano a se stesse: in termini autocritici e autoritari.

Quando siamo molto piccoli, altre persone hanno un ruolo importante nel soddisfare le nostre esigenze fisiche ed emotive. Per far ciò, i nostri genitori o chi si prende cura di noi osservano il nostro comportamento e gli elementi della situazione e deducono la nostra esperienza privata. Ad esempio potrebbero vederci lacrimare e strofinare gli occhi, notare che siamo svegli da molte ore e dedurre che siamo stanchi. In maniera simile, potrebbero osservare segnali che indicano che siamo affamati e darci cibo o potrebbero vederci spaventati o tristi e confortarci. Crescendo, ci assumiamo la responsabilità di prenderci cura di noi stessi. Diventa nostro compito notare come ci sentiamo e agire per soddisfare i nostri bisogni. Idealmente stabiliamo un rapporto rispettoso e reciproco tra segnali che provengono dal nostro corpo e le nostre azioni. Ad esempio, quando il nostro stomaco brontola, riconosciamo questa sensazione come il bisogno di cibo e rispondiamo di conseguenza. Nel far questo arriviamo a conoscere noi stessi e i nostri segnali e a stabilire un senso di sicurezza e di fiducia in noi.

Piuttosto che calore e reciprocità, gli individui con AN adottano un approccio rigido e punitivo alla gestione di sé stessi e delle proprie esigenze. Si comportano come un genitore autoritario che impone regole rigide e chiede obbedienza, senza tener conto di sentimenti e circostanze attenuanti. Le regole danno priorità al lavoro e alle prestazioni, a discapito della persona. Gli individui con AN vivono in un profondo stato di privazione fisica ed emotiva, non si nutrono quando sono affamati né si confortano quando sono tristi. Per alcuni la situazione è peggiore, non solo ignorano i loro bisogni, ma si rimproverano persino di averli, si definiscono deboli, pigri o patetici per essere stanchi, affamati o turbati. Anche se le regole rigide potrebbero essere più intense nella sfera dell’alimentazione e dell’esercizio fisico, in genere si verificano in tutti i settori della vita, ad esempio nelle relazioni.

Un altro elemento importante è che nessuna prestazione è mai abbastanza buona. Le richieste e le regole si fanno sempre più estreme, con maggiori mandati sull’individuo nonostante l’aumento dei costi personali. Il super controllo punitivo e l’abnegazione sono seducenti perché funzionano bene come convenzionali misure di successo. Gli individui con AN eccellono in quasi tutto ciò che fanno, tuttavia non hanno un modo gentile di vivere o di trattare sé stessi e questo comporta un costo significativo per la loro salute e il loro benessere. Col tempo l’individuo si esaurisce ed inizia a sperimentare una mancanza di significato personale e vitalità. La vita diventa un elenco di compiti da svolgere e le attività e gli interessi, che potrebbero essere fonte di godimento e piacere, vengono limitati a causa del poco tempo a disposizione o evitati intenzionalmente perché ritenuti frivoli o segno di auto-indulgenza.

Anche le relazioni sociali risultano influenzate negativamente dall’eccessivo rispetto delle regole. Le situazioni sociali sono normalmente dinamiche e ricche di sfumature, anche il modo “giusto” di comportarsi è spesso incerto e può essere impossibile adottare regole rigide. Inoltre le interazioni sono promosse dai sentimenti e dalla volontà di esprimerli, di essere vulnerabili e spontanei. Gli individui con AN spesso evitano le occasioni sociali non strutturate o richiedono che gli scambi avvengano in modo altamente prevedibile, ad esempio rifiutano inviti inaspettati, evitano le chiacchiere. Usando le regole piuttosto che la sintonia empatica possono anche trovarsi nell’impossibilità di comprendere i sentimenti e le azioni altrui o di relazionarsi con un’altra persona in modo significativo.

QUALI TRATTAMENTI POSSIBILI?

Nell’ultimo decennio sono emerse varie terapie cognitivo comportamentali (dette di terza ondata o generazione), tra cui la terapia dell’accettazione e dell’impegno (ACT), la terapia dialettico comportamentale (DBT) e la terapia cognitiva basata sulla mindfulness (MBCT) le quali, pur differendo in certi aspetti, condividono l’enfasi sull’accettazione e la consapevolezza e sui cambiamenti di secondo ordine (cambiare il modo in cui ci si relaziona e si risponde ai propri pensieri e sentimenti).

In queste terapie ci si concentra sull’accettazione o disponibilità ad avere pensieri, sentimenti o sensazioni corporee indesiderate. Viene, quindi, colta l’essenza della lotta in cui sono impegnate le persone con AN, le quali fanno difficoltà a permettersi sentimenti o spinte che percepiscono fuori dal loro controllo e a tollerare la variazione dell’esperienza del loro corpo e dei loro stati interni.

Tali terapie mirano ad aumentare la flessibilità psicologica  e la capacità di contatto con il momento presente. I pazienti imparano a rispondere in modo flessibile ed efficace alle situazioni. Il trattamento inizia determinando le contingenze che mantengono l’AN, come l’imposizione di regole rigide o il controllo punitivo, permettendo all’individuo di evitare il disagio momentaneo.

Sono, infine, incentrate sullo sviluppo di valori personali, come guida per le scelte comportamentali. Questo potrebbe essere estremamente utile per le persone con AN che tendono ad avere un basso livello di auto-direzionalità e a prendere decisioni basate su regole esterne. I valori personali fungono, infatti, da potente motivo di cambiamento e risultano più efficaci rispetto all’identificazione degli svantaggi dell’alimentazione restrittiva e del basso peso che tendono a basarsi maggiormente sulla logica (per esempio “avere sempre freddo”) o su obiettivi futuri (“potrebbe influire sulla mia capacità di avere figli”).

Dott.essa  Chiara Francesconi
Psicologa-Psicoterapeuta cognitiva
www.chiarafrancesconi.it
Pillole di Psicologia

Oggi risultano in aumento i disturbi del comportamento alimentare, di cui AN fa parte, in particolare condizioni come l’ortoressia (fissazione maniacale per il cibo sano, naturale, dietetico, controllo calorico spasmodico, critica degli altri per cosa mangiano).
Condizioni non così drammatiche come l’AN, spesso non giungono all’osservazione di medici e psicologi, ma al pari dell’AN arrecano sofferenza e contrapposizione nelle famiglie e turbano la crescita dei figli.
Le regole esasperate, come riporta l’Autrice, annullano la sintonia empatica, non permettono più di comprendere i sentimenti e le azioni altrui o di relazionarsi con gli altri in modo significativo. Aspetti che si possono, penso, espandere in altri campi del vivere.
Se tutto questo è un segno dei tempi, sono tempi che preoccupano poiché ci dicono che vi è un impoverimento dello spirito, della cultura, del pensiero critico.

26 settembre 2023